Storie di cortili sparsi

I cortili sono esigenti. Vanno scoperti. Ai cortili non piace comparire e per questo mi piacciono particolarmente. Mi piacciono i posti che si nascondono. Mi piacciono le città che si nascondono. (Ecco perché, e so che non dovrei dirlo, non ho mai amato Parigi. Parigi è troppo sfrontata e fiera della sua bellezza in tutte le stagioni).

I cortili raccontano sempre delle storie. Quando si scopre un cortile è come guardare dentro una finestra aperta. È un mondo recintato che racconta la sua storia. E se si decide di varcarne la soglia bisogna prestare attenzione: i cortili sono invadenti, tendono a farti partecipare alla loro storia per poi non fartene più uscire, come se si entrasse in qualche film di Miyazaki.

Mi piacciono tutti i tipi di cortile perché tutti raccontano storie. Storie diverse.

Mi piacciono i cortili interni, quelli in cui ci s’imbatte per caso girando il centro storico. Quelli che fanno capolino da portoni solenni quando la primavera comincia ad affacciarsi. Quelli che racchiudono l’imponenza di una statua, la magnificenza di un roseto o l’invasione verde, meticolosa e ordinata dell’edera. Quelli che si possono solo immaginare, serrati da qualche cancello. Quelli che si trovano in via Cattaneo, in via Musei, in via Pace o in Contrada delle Cossere.

Mi piacciono i cortili piccoli. Quelli che nascondono nient’altro che un rettangolo bagnato da un’ombra fresca e una bicicletta appoggiata al muro. Mi piacciono i cortili che fanno fare il giro del mondo rimanendo fermi. Quelli che trovi inseguendo percorsi di voci e di odori. Mi piacciono i cortili di via Capriolo, via Odorici e Contrada del Carmine. Quelli di Contrada Santa Croce e Borgo Trento. Quelli che non riescono a stare chiusi.

Mi piacciono anche i grandi cortili, quelli aperti. Quelli di cemento, di asfalto o in ghiaia. Quelli che stanno ai piedi degli edifici alti. Quelli che si trovano in via Rocca D’Anfo. Quelli in cui crescono i bambini. Quelli che si trovano nelle case in via Lamarmora. In via Montello. Alla Rotonda Montiglio. Quelli dove le generazioni crescono insieme per un breve periodo di tempo, che sembra lunghissimo ma che viene dimenticato presto. Quelli dove si trascorrono le giornate estive, riparandosi tra gli scampoli di ombra dei palazzi.

Cortili interni, cortili piccoli, cortili grandi. Cortili sparsi.
E i tuoi cortili? Quale storia raccontano i tuoi cortili sparsi?

Informazioni su un viaggiatore senza guida

Non mi è mai piaciuto il termine viaggio, l'ho sempre utilizzato poco. L'ho sostituito con vagabondaggio, peregrinazione, spostamento, pellegrinaggio. Giorgio dice che lo facevo perché volevo nascondermi, far sembrare che facessi qualcosa di diverso da quello che facevo. In effetti, leggere Sebald non mi ha aiutato. Anch'io avrei voluto essere un vagabondo saturnino come lui e creare i suoi intricati, commoventi labirinti. Ma non ci sono mai riuscito. Anche se Giorgio, il mio editore per trent'anni, mi ha detto che me la sono sempre cavata molto bene. “Lo sai quanta gente le tue guide hanno accompagnato?” Già, dall'introduzione geografica, alla storia delle città e dei paesi, dai monumenti più significativi ai consigli gastronomici, fino alla fedele mappa finale. Per me oggi il viaggio è finito. Forse l'ho fatto per troppo tempo. Ed è tempo di fermarsi. Almeno con il corpo, almeno per un po'. L'ho deciso un giorno, all'improvviso. Giorgio c'è rimasto male. Mi ha detto che le mie guide si vendono bene. Credo che sia un po' preoccupato per me. Io non lo sono. L'ho deciso un giorno in una libreria, circondato da tutte le guide che avevo scritto. Ne ho aperta una a caso "...le prime ore del pomeriggio sono le migliori per un’escursione ad Arthur’s Seat, il vulcano a forma di cono estinto..." Certo Arthur's Seat, e le suole di gomma che si sporcano di terra vulcanica. E poi "...ci allontaniamo dal vociare turistico per giungere a calli e campielli contornati da case alte e in rovina...". Naturalmente, il quartiere ebraico di Venezia. Ed ecco un indice, Helsinki, Tampere, Oulu, la Finlandia. Ma tutte quelle parole era come se non fossero state le mie parole. Era come se non mi restituissero i posti in cui ero stato. Era come se non m'appartenessero. Forse è giunto il momento di scrivere il mio viaggio, di riscrivere i viaggi che avevo vissuto. Mi serve un posto e penso di averlo trovato qui, in questa città, a Brescia. Mi serve un posto dove annotare, dove dare forma alle colline su cui ho camminato, ai ciottoli su cui sono inciampato, alla sabbia che mi è entrata nelle scarpe, ai venti che mi hanno accarezzato e sferzato la pelle, al rimbombo dei miei passi nella sala vuota di un museo, allo stupore di fronte ad un cantiere che ha inghiottito la memoria di un pezzo di città. Mi serve un atlante. Gli atlanti mi sono sempre piaciuti. Mi piace vedere rappresentare il mondo sulla carta attraverso un sistema codificato di linee e colori. Mi da sicurezza. Ma questo sarà il mio atlante, senza schemi, senza regole, perché i viaggi che ci raccontano non ne hanno. Un atlante di viaggio in cui ritrovare la mia vita e scoprire una città in movimento.

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